Un
impegno per la coscienza
di Franco Di Dio Magrì
Per
un critico d'arte non dovrebbe esistere nessuna "noia da recensione",
ma come tutto l'umano agire la routine spesso prende il sopravvento.
Stavo viaggiando in treno quando un mio amico ha telefonato chiedendomi
di visionare la produzione artistica di una sconosciuta. "La solita
routine" ho pensato e, preso un appuntamento, ho continuato a leggere
il giornale con il sottofondo dei binari.
Arrivato il giorno dell'incontro, mi reco in una sorta di decoroso
scantinato e intorpidito dal traffico metropolitano scendo i tre
scalini fatiscenti che mi proiettano improvvisamente in una dimensione
che da troppo tempo avevo dimenticato. Una luce s'irradiava da ogni
opera esposta, la luce che riconciliava lo spirito dell'appassionato
puro, con la professione del critico. E' difficile esprimere le
sensazioni che mi hanno sorpreso dopo troppi anni d'assuefazioni.
Lilli,
il nome che ha acceso queste opere, è un'Artista che vive a Roma
e dipinge per necessità dell'anima. E si sente.
Autodidatta, esprime l'incontro tra corpo e spirito incarnando nei
colori assolutamente personali, una capacità stilistica propria
dei grandi dell'arte. Le influenze dei Maestri impressionisti e
delle avanguardie del '900 s'incontrano con la tradizione più nobile
dell'italica creatività.
Leonardo, Cezanne, Renoir, Munch, De Magistris, si fondono nella
coscienza del visitatore con lucida autorevolezza ed i sentimenti
dominati dagli ingranaggi affamati e spietati della concretezza
reagiscono ai tormenti del quotidiano conferendo serenità all'esistenza.
Il
periodo agostano, in particolare, evoca una dimensione ormai dimenticata
nelle società idrocarburate: la Koiné, la Comunità.
Agosta, paese vicino Subiaco, mette in scena sé stessa, ci rimprovera
l'oblio che rinnega la condivisione della nostra umanità sfidando
i nostri pianerottoli protetti dai cilindri europei. Agosta nelle
prospettive di Lilli, esplode in una solarità contagiosa, scatena
i sapori dell'esistenza e ci riconcilia con il mondo. Non è poco.
L'energia di queste opere è un messaggio dentro una bottiglia che
non può essere ignorato.
I disegni
esprimono la classicità fidiana che ha iniziato l'occidente alla
civiltà. I tratti decisi disegnano una bellezza ideale che illude
la razionalità. Un decoro per la dignità diffusa che solo una tecnica
asservita ai sentimenti può tradurre sull'agorà delle cose semplici.
Le
nature morte ed i fiori reinventano la Natura sfidando l'origine
dell'universo. L'evoluzione della specie e la brutalità della selezione
si ricompongono in un caleidoscopio divino che l'anima pura non
osa sfidare.
E'
con umiltà che vivo quest'Arte. Il mio percorso di critico n'esce
frastornato. La forza della semplicità invade la scena della mia
vita e m'ispira a rinnovare la mia professione che, dopo ciò che
ho vissuto, non sarà più la stessa. Un impegno per la coscienza.
Grazie
Lilli
Franco Di Dio Magrì
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Il
segno come ricerca
di Sandro De Renzis
L'artista
irrompe dalla dimensione del buio con segni primigeni di chiara
matrice astratta, ma quanto lontani da quella collocazione stilistica
essa sia pervasa, appare nel subitaneo prosieguo.
Stilemi
astratti adottati come strumenti per elaborare una metamorfosi in
funzione di una ricerca, di un approdo ségnico, di un rigore compositivo
conquistato prepotentemente, purificandolo da remore ed inconsce
paure per mezzo di icone rassicuranti, cercate e trovate nel quotidiano
della realtà.
Permangono
ed affiorano a volte, elementi di inquietudine, cromaticamente evidenziati
da visioni di luci severe, cupe, ma sempre un contesto rappresentativo
dell'“usuale”, del “giornaliero”, domina la composizione e basta
questo per respingere gli spettri nell'inconscio dal quale, forse,
questi provengono.
Il
segno è sempre “pulito”, sia carboncino, acquerello, tempera
od olio, ne esce sempre una traccia “indagatrice”, che scava, “cesella”,
più una vicinanza alla linea che alla materia, quasi un ricercare
la verità, scrostandola, liberandola, dai sedimenti policromi e
obnubilanti della vita.
Il
pennello, più che spargere il colore, lo “scansa” per cercare di
raggiungere quello affannoso effetto catartico scevro da sovrastrutture.
Si
nota come il percorso, più che trentennale dell'artista, non abbia
seguito una linearità costante di produzione, ma a periodi intensi,
si siano alternati dei vuoti che sottendevano tautologicamente una
espressività inespressa, ineluttabilmente foriera di un'esplosione
creativa.
Sandro
De Renzis
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